::L::S::R::  un progetto parafilosofico
non nel tempo -- ma: in tempo

Titolo originale tedesco:
La Mettrie und die Kunst, Wo(h)llust zu empfinden
Portrait eines verfemten Denkers

Apparso in tedesco in:
Der Blaue Reiter. Journal für Philosophie, Heft 16, Juni 2003

Tradotto dal tedesco in francese da Pierre Gallissaires
Tradotto dal francese all'italiano da Massimo Cardellini



La Mettrie e l'arte di provare piacere

Ritratto di un pensatore proscritto

di Bernd A. Laska

Bild La Mettrie "La Mettrie, Julien Offray de (nato il 23 dicembre 1709 a Saint-Malo, morto l'11 novembre 1751 a Berlino), medico e filosofo francese che professava un materialismo meccanicistico. Dovette abbandonare la Francia a causa delle sue idee; pubblicò in Olanda, nel 1748, la sua opera L'Homme Machine [L'Uomo Macchina] , il che gli valse di essere di nuovo condannato all'esilio. Trovò asilo in Prussia dove fu uno degli spiriti liberi ammessi alla tavola di Federico II a Potsdam. Morì per una indigestione di pasticcio di fegato d'oca ai tartufi", è in tali termini che i dizionari enciclopedici presentano generalmente La Mettrie. Riassumono quasi tutto quel che sappiamo in generale su di lui, ai nostri tempi, nei campi biografico e filosofico. Quest'immagine, che è egualmente nota tra gli specialisti, è tuttavia molto dubbia. Essa non fa menzione dell'opera da cui i suoi contemporanei lo giudicarono e lo condannarono e che considerava egli stesso come la sua opera principale, e cioè il Discorso sulla felicità, completato dal trattato L'arte di provare piacere.

I filosofi dei Lumi considerarono la "teoria dei rimorsi" (o del Super-Io) da lui esposta così biasimevole moralmente, che tutti senza alcuna eccezione presero distanza da lui o, per essere più precisi, lo trattarono come un individuo da ignorare e passare sotto silenzio, come un paria da mettere al bando dalla società. Stranamente, questa teoria non è, o per rifiuto o per incomprensione, sempre accettata ancora oggi. Vi furono, di recente, alcuni tentativi di riabilitazione di La Mettrie in quanto autore "umanista" ingiustamente proscritto, che andavano sempre di pari passo con una banalizzazione sia della teoria dei rimorsi sia delle cause della sua proscrizione. Non si poteva credere che il "caso La Mettrie" fosse suscettibile di insegnarci qualche cosa di sostanziale, dopo che si era "storicizzato" da tanto tempo l'età dei Lumi. Eliminando il suo capolavoro dalla filosofia di La Mettrie ed imputando la sua messa al bando praticata dai più importanti filosofi dei Lumi a semplici calcoli di tattica politica, ci si privava della possibilità di capire veramente lo scacco finale della "vittoriosa" filosofia dei Lumi e di promuovere a partire da questa comprensione la sua ripresa, cioè la sua continuazione (il che tenta di fare il progetto LSR). (1)


La Mettrie, la cui origine e giovinezza sono poco conosciute, studiò dapprima filosofia e scienze naturali, poi medicina. Diventato dottore (Rennes, 1736), (2) non soddisfacendolo lo stato della medicina in Francia, andò a Leida (Olanda) dove insegnava Hermann Boerhaave, un luminare della scienza medica dell'Europa di quel tempo. È lì che cominciò a scrivere, traducendo e commentando innanzitutto delle opere mediche di Boerhaave, poi redigendo presto egli stesso alcuni trattati in questo campo. Ritornò dopo due anni nella sua città natale di Saint Malo, dove risiedette come medico, si sposò ed ebbe una figlia nel 1741.
Il 1742 segna una svolta nella vita di La Mettrie. Lasciando la sua famiglia a Saint Malo, si recò a Parigi, per occupare presso il duca di Grammont le funzioni di medico personale e di ufficiale del servizio di sanità nel reggimento delle Guardie francesi. È a questo titolo che egli prese parte, dal 1743 al 1745, alla Guerra di Successione austriaca, ma soggiornò anche molto tempo a Parigi dove è probabile che si fece numerosi nemici nell'ambiente medico in quanto allievo dalle idee progressiste di Boerhaave. Il che ebbe come conseguenza di fargli perdere il suo posto, quando il duca di Grammont cadde.
Allo stesso tempo, La Mettrie aveva, sul piano letterario, superato lo stretto campo della sua specialità: nel 1745 apparve, senza nome dell'autore, la sua prima opera filosofica, la Histoire naturelle de l'?me [Storia naturale dell'anima], che fu immediatamente sequestrata e pubblicamente bruciata a Parigi. Nel 1746, La Mettrie pubblicò un'opera polemica e piena di ironia contro i medici dotati per gli affari, a cui non interessano le nuove conoscenze: Politique du médecin de Machiavel [Politica del medico di Machiavelli]. Infine, il suo saggio di critica morale intitolato La Volupté [Il Piacere], contribuì a far diventare il suo soggiorno in Francia troppo pericoloso e ad indurlo a fuggire nel 1747 in Olanda, paese in confronto liberale. I libri proibiti in tutta l'Europa vi erano stampati e La Mettrie poté scrivere e pubblicare -- per precauzione di nuovo senza nome dell'autore -- quello che lo rese famoso L'Homme machine [L'Uomo macchina]. Aveva tuttavia, agendo così, superato i limiti della tolleranza olandese. L'anonimato si rivelò essere una protezione poco sicura e La Mettrie riuscì a sfuggire, nel febbraio del 1748, all'imprigionamento fuggendo in tutta fretta. Trovò asilo in Prussia, alla corte di Federico II, che accolse, in quanto "monarca illuminato" e "filosofo incoronato dal libero spirito", quest'esiliato "vittima dei preti".

Al suo arrivo a Potsdam, La Mettrie, che godeva della migliore reputazione, divenne membro dell'Accademia delle scienze e Federico ne fece il suo medico, lettore e uomo di compagnia personale. Era l'ospite permanente della società degli spiriti liberi famosi che il monarca riuniva intorno a sé alla sua tavola, al castello di Sans-Souci. Era logico pensare che d'ora in poi l'autore di La Volupté e di L'Homme machine, avrebbe potuto pubblicato liberamente e senza alcuna censura, sotto la protezione di Federico II, le sue idee filosofiche.

Tuttavia, le cose assunsero presto una piega del tutto diversa. Federico si vide ben presto nell'impossibilità di restare fedele alla sua promessa. Aveva applaudito agli attacchi di La Mettrie contro la cupidigia dei medici incapaci ed i pregiudizi di un clero limitato, ma a Sans Souci, nel quadro delle conversazioni a corte, La Mettrie non poté evidentemente trattenersi dal prendere anche come bersaglio, indubbiamente con molta ironia, i pregiudizi degli stessi spiriti emancipati. (3) Ed è così che superò ben presto limiti della tolleranza del monarca.

Federico incaricò Maupertuis, il presidente dell'Accademia, di dare subito ad intendere a La Mettrie che doveva impegnarsi a non più pubblicare opere personali ed a limitare le sue attività letterarie a lavori di traduzione- questo nell'intenzione dichiarata di proteggerlo contro se stesso e contro gli eccessi sconsiderati della sua "pericolosa immaginazione". (4) La Mettrie, a cui nessun altro asilo era offerto, dovette fare buon viso a cattiva sorte. Non si lasciò affatto intimidire e trovò un mezzo per far conoscere ancora, conservando le sue forme, le sue idee importune sui pregiudizi degli spiriti illuminati. Tradusse, conformemente alle istruzioni, un'opera classica al di sopra di ogni sospetto, il De beata vita di Seneca, ma vi aggiunse -- il che non gli era stato specificatamente proibito -- una "introduzione", di cui fece l'opera che egli stesso doveva considerare in seguito come migliore, il Sur le bonheur [Discorso sulla felicità]. Giunge, malgrado il controllo permanente risultante dalle sue relazioni quotidiane con Federico II e le numerose spie, a fare stampare Seneca e la sua introduzione senza censura preventiva. Lo strepito fu senz'altro perfetto, ma rimase molto discreto, colui che gli accordava asilo e traeva molta vanità dalla sua tolleranza nel campo delle cose dello spirito non gli poteva permettere di manifestarsi veramente.

Federico, che si dice nel suo furore, gettò alcuni esemplari di quest'opera al fuoco -- come il giovane Lessing, che ne gioiva molto, scrisse a suo padre --, (5) poteva difficilmente apparire apertamente come il censore di un filosofo che aveva ancora recentemente coperto di lodi e salvato dalla persecuzione. Così le sue misure furono piuttosto discrete. La Mettrie conservò il suo statuto ufficiale alla corte ed all'Accademia, ma gli si sfece pressione ora affinché pubblicasse le sue Œuvres philosophiques [Opere filosofiche] -- senza la sua opera principale tuttavia -- in conclusione per così dire di una carriera vecchia soltanto di cinque anni, come il testamento spirituale di un autore quasi ottuagenario e comportante la disapprovazione tacita delle sue idee più importanti.

La Mettrie non ha lasciato alcuna testimonianza personale sulla sua situazione a corte; sappiamo da diverse fonti che fu qualcosa di simile ad un giullare del re -- un ruolo in cui si era evidentemente rifugiato per far distendere la situazione. È anche sotto i tratti di un "Democrito ridente" che il suo ritratto fu inciso in rame durante la stessa epoca. È ancora in questo ruolo che egli redasse alcuni opuscoli, sul senso dei quali si prova spesso del disappunto a causa della loro ironia complessa. Indubbiamente La Mettrie non poteva fidarsi di questa pace finta: solo ateo conseguente a corte, si vedeva sempre più circondato, nel suo ultimo rifugio, di nemici segreti, che lo prendevano del tutto sul serio malgrado il suo ruolo di giullare e di persona divertente, così tanto e così bene che egli temeva che "un giorno la Cicuta sarebbe stata la ricompensa del suo coraggio filosofico". (6) Redige, del tutto secondariamente, in un breve scritto molto ironico destinato a sua difesa Le petit homme à longue queue [Il piccolo uomo dalla lunga coda], (7) il suo timore di essere la vittima della "rabbia delle anime pie". Fu la sua ultima opera. Alcune settimane più tardi, quest'uomo sino ad allora pieno di salute morì per le conseguenze della sua smisurata intemperanza, secondo le voci, in verità, la causa della sua morte non è mai stata chiarita.

***

I timori di La Mettrie a proposito del pericolo che lo minacciava, così come la sua idea, sempre espressa tra le righe e in forma ironica, che si doveva contare, nel numero delle "anime pie", anche la maggior parte dei suoi contemporanei, sostenitori dei Lumi, si rivelarono del tutto realistiche, come lo provano le testimonianze che ci sono giunte delle reazioni di alcuni eminenti filosofi illuminati alla sua morte. Voltaire, ad esempio, che aveva già calunniato La Mettrie nelle sue lettere destinate ad essere pubblicate, lo trattava come un pazzo e bevitore inveterato, salutava ora -- allorché grande ipocondriaco, era stato malatticcio per tutta la vita- con una soddisfazione non dissimulata la morte di quest'uomo "che scoppiava di salute". Questo nemico della Chiesa -- "écrasez l'infâme!" ["Schiacciate l'infame!"] -- che doveva tuttavia, in età avanzata, confessarsi per timore della sua spoglia mortale, non esitò a confidare alla carta la sua gioia sarcastica all'idea che La Mettrie, "grande e grosso come una botte" sia stato, contro la sua espressa volontà, "sotterrato nella Chiesa cattolica". (8) E Diderot, anch'egli grande difensore delle idee di tolleranza e di umanità, detestava La Mettrie, che non conosceva personalmente, a tal punto che, dopo aver sempre osservato un silenzio assoluto nei suoi confronti, perdeva ancora, decenni dopo, ogni reticenza: "La Mettrie è morto come era giusto dovesse morire, vittima della sua intemperanza e della sua follia. Si è ucciso per ignoranza di ciò che professava. Questo giudizio è severo, ma giusto". E questo capofila dei "filosofi" si vedeva dunque autorizzato ed evidentemente anche obbligato a "cancellare dal loro numero un uomo corrotto nelle abitudini e nelle opinioni". (9)

In quanto autore di L'homme machine, La Mettrie aveva potuto ancora usufruire della migliore reputazione presso gli spiriti emancipati dell'epoca. Federico II lo aveva sollecitato in dovuta forma e Maupertius, allora eminente uomo di scienza e presidente dell'Accademia di Prussia, parlava di lui nei termini più lusinghieri. Tutto cambiò bruscamente quando il suo Discorso sulla felicità, accresciuto da una nuova versione del suo saggio sul piacere, intitolato "L'arte di provare piacere", fu conosciuto. L'autore fu oramai considerato come un pazzo: per gli uni, era un estremista della scrittura, che non sapeva veramente quel che faceva, per gli altri un pericoloso svergognato della letteratura. Lessing lo trattò da "pornomane", ed il suo Discours di abominio. Federico II, dopo aver scritto alla sua morte un elogio ambiguo, parlò più tardi di lui come di un pazzo. Gli spiriti illuminati di tutte le tendenze erano in ogni caso dello stesso parere su questo punto centrale, senza essersi preventivamente accordati: conveniva trattare La Mettrie come un individuo da ignorare e passare sotto silenzio ("unperson").

Un secolo dopo la morte di La Mettrie, Friedrich Albert Lange tentò, nella sua influente Geschichte des Materialismus [Storia del materialismo] del 1886, di riabilitare questo filosofo quasi totalmente ignorato, che non si cita più che occasionalmente e come "testa d'ariete del materialismo". Lange sottolineava la sua solida formazione scientifica ed il fatto che numerose delle sue idee erano cronologicamente anteriori a quelle di alcuni suoi contemporanei tenuti in grande considerazione, come d'Holbach, Helvétius o Diderot; vedeva infine in lui "una natura più nobile di Voltaire o Jean-Jacques Rousseau". Tuttavia, qualificava proprio le opere che La Mettrie considerava come i suoi più importanti scritti come "deprecabili": Discours sur le bonheur e anche come particolarmente ributtanti: L'Art de jouir. (10)

Dopo questa equivoca riabilitazione -- ve ne furono di simili in Francia ed in altri paesi d'Europa --, non si pubblicò più che un solo libro di La Mettrie: L'Uomo macchina, che fu tradotto in tutte le lingue più note. Nome dell'autore, titolo dell'opera e messaggio filosofico dell'opera principale in un vero stereotipo popolare, mentre l'opera principale di La Mettrie restava spesso sconosciuta, anche dagli specialisti della filosofia dei Lumi francesi.

La scoperta dell'altro, dell'autentico La Mettrie -- l'individuo posto al bando e trattato da "paria dello spirito" dai sostenitori dei Lumi del XVIII secolo e che doveva mettere in imbarazzo i suoi intercessori successivi -- non cominciò che due o tre decenni or sono. Si interpreta attualmente il modo di agire dei filosofi dei Lumi come una tattica politica intellettuale nella lotta con i poteri costituiti (il "sacrificio di una pedina" agli scacchi) e gli apprezzamenti morali di Lange e di altri come l'espressione di una prevenzione della loro epoca; non è più possibile vedere nella "teoria del senso di colpa" di La Mettrie e nella sua concezione della natura del piacere sessuale una teoria moralmente sconvolgente o una provocazione teorica. Ed è così che si giunge- una seconda volta a seguito di un prevenzione dovuta all'epoca- alla pratica corrente che consiste a minimizzare o passare del tutto sotto silenzio l'opera principale di La Mettrie.

***

Se La Mettrie designava il Discours sur le bonheur come la sua opera principale, è perché contiene la sua "teoria dei rimorsi" (del Super-Io), che egli considerava come suo solo apporto filosofico fondamentalmente nuovo. (11) Questa teoria essendo strettamente legata con la sua concezione della sessualità, la sua L'art de jouir può essere considerata come il secondo volume dell'opera principale. Queste due opere sono anche le sole che egli abbia anche fatto tradurre in tedesco: esse apparvero nel 1751, poco tempo prima della sua morte con il titolo Das höchste Gut oder Gedanken über die Glückseligjkeit e Die Kunst, Wollust zu empfinden, ma rimasero sconosciute per secoli per via della loro immediata proibizione da parte della censura.

Possiamo riassumere in modo appropriato l'idea centrale della teoria di La Mettrie nella formula "La negazione del Super-Io irrazionale" (12) -- essendo la più conveniente, anche se non possiamo precisarlo ora, per dare un'idea di quel che La Mettrie esponeva con i concetti del suo tempo.

La Mettrie partiva dall'osservazione che pochi uomini giungono a "dissolvere i pregiudizi dell'infanzia e a depurare l'anima alla luce della Ragione". (13) Enunciava qui un fatto evidente, e cioè che ciò non era dovuto alla mancanza di intelligenza o alla cattiva volontà, ma che la resistenza ai Lumi era più profondamente ancorata nell'organismo- perché "non ci si spoglia affatto ad una semplice lettura da principi così radicati che si scambiano per naturali". (14) Al contrario, uno spirito penetrante assume spesso con virtuosità il ruolo di difensore contro le idee ragionevoli, quando quest'ultime minacciano la pace dell'anima dell'uomo prigioniero dei pregiudizi. Ma se qualcuno respinge la ragione perché essa turba il suo benessere è perché la sua anima è stata precocemente "sottomessa" in proporzione. È qui, nell'educazione, nell'acculturazione dell'uomo che inizia sin dalla sua nascita, che La Mettrie vedeva la radice di questo male: la resistenza ai Lumi. (15)

L'acculturazione e l'educazione sono, come naturalmente La Mettrie sapeva, tanto necessarie alla vita dell'uomo quanto inevitabili. Ma è appunto ciò che è considerato come il loro risultato più importante, la trasmissione fatta in gran parte "senza esame e senza scelta" di comportamento sul piano dei valori e del carattere- detto altrimenti la costruzione di un Super-Io, che l'io troverà come istanza interna "al di sopra di esso", non appena comincerà a dischiudersi - è precisamente ciò che La Mettrie chiama "il più funesto presente", la "gramigna mischiata al buon grano della vita", il "crudele veleno che corrompe i frutti della vita dell'uomo". Perché? Perché è come regola molto generale, pregiudizievole alla sua facoltà di provare autenticamente felicità e ostacola allo sviluppo in lui dell'"arte di provare piacere". E La Mettrie conclude: "L'uomo reca così in sé il più grande dei suoi nemici". (16)

È chiaro che non si tratta soltanto, in primo luogo, nel processo di acculturazione, dell'inculcazione di nozioni assiologiche precise e concrete, ma della modificazione psico-fisiologica dell'organismo ("impressa come una matrice nella cera molle"), di una preparazione e di un "piegamento dell'anima" in vista del suo adattamento alla cultura esistente, la quale è ostile tanto al vero piacere quanto alla vera ragione. (17) Ciò che è spiacevole e gravoso di conseguenze allo stesso tempo, è che una costruzione del Super-Io che si fa in questo modo- precognitivo ed irrazionale- ha come effetto collaterale di andare sino a generare numerosi di questi "istinti" che il Super-Io irrazionale non è spesso più in grado di reprimere (per mezzo dell'opinione, della colpa, del "rimorso").

Questo danno, "normale" dai tempi preistorici, ha naturalmente delle conseguenze sociali. La Mettrie pensava anche che "il mondo non sarà felice per tanto tempo finché non sarà ateo", quest'ultimo termine essendo compreso nel senso di "senza Super-Io irrazionale" (perché la questione dell'esistenza di "Dio" non aveva senso ai suoi occhi).

È anche così che bisognerebbe comprendere la sua esigenza che "Tutti i rami della Religione (siano) distrutti e tagliati alla radice", in modo tale che gli uomini "non seguirebbero che i consigli spontanei del loro proprio individuo". (18) Non essendo ostacolati da un Super-Io irrazionale, essi sarebbero in grado di vivere conformemente ad un Super-Io razionale, ad un'etica ragionevole. L'anima non sottomessa vedrebbe aprirsi a sé "una nuova fonte di virtù". (19) La Mettrie considerava come fondamentalmente falso il credere che "la buona fede (degli uomini), la loro probità, la loro giustizia, non reggerebbero che ad un filo una volta sganciati dalle catene della superstizione". (20) Non è che in seguito, al contrario, che queste virtù potranno essere pienamente valorizzate. "Il dovere si allea così bene al piacere in un'Anima ragionevole, che lungi dal nuocersi, si avvantaggiano di forza reciprocamente. (21)

La "sensibilità al piacere" occupa un posto centrale nell'antropologia di La Mettrie: essa è l'equivalente materiale della libertà di un Super-Io irrazionale ed il garante di un Super-Io razionale. La Mettrie non ha scritto il suo libro L'arte di provare piacere come potrebbe far supporre il titolo, come una di quelle "ars amandi" molto diffusi durante la sua epoca- egli parla al contrario senza stima dell'"uomo dalla buona fortuna" e della sua "invenzione delle voluttà", (22) ma come un'opera nella quale si occupa esplicitamente del campo sessuale, "un soggetto più importante di quanto non si creda", e vuole rendere chiara una distinzione assolutamente necessaria per la sua filosofia. (23) La Mettrie vi sottolinea ancora una volta con molta forza che si deve considerare il "voluttuoso" ed il dissoluto come dei personaggi opposti nel loro modo di provare il piacere. Egli intende, quando parla di voluttà- il che mostra l'opposizione irreconciliabile che esiste tra de Sade e lui-, "un'autentica estasi€ che soltanto il voluttuoso e non il dissoluto, può provare. (24) Intende con ciò una differenza qualitativa e non soltanto di grado, nell'esperienza del piacere. Il dissoluto ha, come ogni individuo "normale" interiorizzato la morale repressiva della società- non fa che trasgredire compulsivamente le sue regole. L'esperienza del piacere del dissoluto, la cui anima è stata sottomessa, è effettivamente "messa da parte", cioè sola; dipende dalle norme di questa morale, che è in fondo sacra anche ai suoi occhi; è determinata da essa; nella misura in cui si nutre soprattutto della sua violazione. Il piacere del dissoluto è diverso da quello del voluttuoso; non è, potremmo dire, un "buon piacere", ma un piacere soave oppure, a causa della sua fissazione negativa alla morale in vigore, un "cattivo" piacere. Per il dissoluto i desideri, che sono quelli " di una immaginazione a cui piace irritarsi", (25) sono insaziabili e non possono essere soddisfatti. Il voluttuoso, al contrario, la cui anima è intatta, è intatto anche nella sua facoltà di aver l'esperienza del piacere e può di conseguenza essere soddisfatto.

L'opposizione fondamentale, che abbiamo incontrato, tra La Mettrie e de Sade deve essere di nuovo sottolineata particolarmente, per terminare, perché nella seconda metà del XX secolo, degli autori influenti hanno scoperto de Sade come filosofo e ne hanno fatto il "principale testimone" della loro tesi secondo la quale la filosofia dei Lumi, pensata in modo conseguente e completo approderebbe ad un "nichilismo morale". (26) Dei filosofi inoltre di tendenze molto diverse si ritrovano uniti su questo modo di vedere le cose: così il professore cattolico Arno Baruzzi, il ricercatore indipendente Panajotis Kondylis, rappresentante di una posizione "descrittiva-decisionista" e Max Horkheimer, che, dopo aver contato tra i più zelanti teorici di una filosofia dei Lumi attualizzata, negli anni 30, doveva rapidamente diventare uno dei denunciatori più efficaci di questa stessa filosofia. (27) Essi non considerano La Mettrie che come un precursore più o meno importante di de Sade, non vedendo o non volendo vedere l'opposizione fondamentale che li separa. Altri hanno reagito sottolineando il contrasto tra un La Mettrie "rappresentante" pieno di umanità, "impertinente e gioioso, della libido" ed un de Sade la sui glorificazione della perversione e del crimine situerebbero "agli antipodi della filosofia dei Lumi". (28) Minimizzano l'altra opposizione, molto più interessante, che separava La Mettrie da tutti gli altri filosofi dei Lumi senza eccezione, e presentano il modo con cui lo misero al bando dalla loro società come una semplice misura di tattica politica. (29) È possibile "riabilitare" La Mettrie in questo modo, raccomandarlo con successo come antenato di questa o quell'altra corrente dello spirito del tempo (vedere ad esempio il libro di Ursula Pia Jauch: "Al posto dei Lumi, un reincantamento del mondo" -- (30) il che non cessa di lasciare nell'ombra la ricchezza potenziale per la storia della sua opera per la storia delle idee. Un potenziale che il Progetto LSR si propone di illuminare e di utilizzare per una rianimazione dei Lumi europei, paralizzati da molti decenni.


Note

Abbreviazioni:

Opere di La Mettrie, traduzione tedesco:
MM: Der Mensch als Maschine. Nürnberg: LSR-Verlag 1985
AS: Über das Glück ("Anti-Seneca"). Nürnberg: LSR-Verlag 1985
PP: Philosophie und Politik. Nürnberg: LSR-Verlag 1987
KW: Die Kunst, Wollust zu empfinden. Nürnberg: LSR-Verlag 1987

(1) La prima edizione delle opere filosofiche di La Mettrie data dagli anni 1745-1751; vi furono in seguito diverse edizioni, sino alla fine del XVIII secolo, in diverse edizioni sotto il titolo di "Opere filosofiche". Esse sono state riedite per la prima volta nel 1987 presso Fayard a Parigi.

(2) La dissertazione è stata scoperta soltanto di recente: Stoddard, Roger E.: Julien Offray de La Mettrie. A bibliographical inventory. Together with a facsimile reprint of La Mettrie's long-lost thesis, Epistolaris de vertigine dissertatio, (Rennes, 1736). K?ln: Dinter 2000, 82 S.
(Un inventario bibliografico. Insieme alla ristampa della fotocopia della tesi persa da molto tempo di La Mettrie, Epistolaris de vertigine dissertatio, (Rennes, 1736); Köln: Dinter 2000, 82 pagg.)

(3) AS, S. 63: "In meiner kleinen Schrift 'Der Mensch als Maschine' ... habe ich [noch] nicht gewagt, gegen alle Vorurteile auf einmal anzutreten". ("Nel mio libretto 'Der Mensch als Maschine' [L'Uomo macchina], ... Non osai ancora oppormi subito contro tutti i pregiudizi.")

(4) Maupertuis, in KW, S. 119

(5) Cfr.: Intro. AS, p. IX

(6) AS, S. 93

(7) KW, S. 89-99

(8) Brief Voltaire an Marie Louise Denis, 14. Nov.1751 In: Voltaire's Correspondence, ed. Theodore Besterman, Genève 1953ff, vol. 20, p. 80f (letter 4011) (Lettera di Voltaire a Marie Louise Denis)

(9) Denis Diderot: Essai sur les règnes de Claude et de Néron et sur la vie et les écrits de Sénèque pour servir d'introduction à la lecture de ce philosophe, [Saggio sui regni di Claudio e di Nerone e sulla vita e gli scritti di Seneca per servire da introduzione alla lettura di questo filosofo], (1778, 1782), II, 6

(10) Friedrich Albert Lange: Geschichte des Materialismus (1866). [Storia del materialismo], Frankfurt/M: Suhrkamp 1974, Band 1, S. 344-376

(11) AS, S. 11

(12) Cfr.: Bernd A. Laska: Die Negation des irrationalen Über-Ichs bei La Mettrie

(13) AS, S. 22

(14) PP, S. 27f

(15) AS, passim, S. 21, 70

(16) AS, S. 53-63

(17) Ivi.

(18) MM, S. 66

(19) AS, S. 72

(20) PP, S. 75

(21) AS, S. 103

(22) AS, S. 111

(23) AS, S. 105ff

(24) KW, S. 61

(25) AS, S. 106

(26) Cfr.: Bernd A. Laska: Einleitung zu AS, S. xvii-xxiii;
Winfried Schröder: Moralischer Nihilismus, Stuttgart: Frommann-Holzboog 2002, S. 125-156 (ad "principale testimone" p. 129-137)

(27) Arno Baruzzi: Einleitung, Kap. "La Mettrie", "Sade". In: ders. (Hg.): Aufklärung und Materialismus im Frankreich des 18. Jahrhunderts, München: List 1968;
Panajotis Kondylis: Die Aufklärung im Rahmen des neuzeitlichen Rationalismus, Stuttgart: Klett-Cotta 1981;
Max Horkheimer/Theodor W. Adorno: Dialektik der Aufklärung, Amsterdam: Querido 1947 (Tr. it.: Dialettica dell'Illuminismo, Einaudi, Torino, 1966 segg.)

(28) Winfried Schröder: Moralischer Nihilismus. a.a.O., S. 138, 156;
Cfr. Ursula Pia Jauch: Jenseits der Maschine. München: Hanser 1998, S. 348, Fn. 13: "Es ist mir unverständlich, wie noch 1981 Panajotis Kondylis Sadesche und La Mettriesche Positionen denkerisch parallelisieren und in einen werterelativierenden Nihilismus aufgehen lassen konnte."
("È veramente incomprensibile per me, come ancora nel 1981, Panajotis Kondylis fosse capace di creare parallelismi tra de Sade e La Mettrie, e descriverli come completamente assorbiti da un nichilismo che relativizza tutti i valori.")

(29) Come representativi possono essere considerati Schröder e Jauch (la nota 28); Cfr.: Winfried Schröder über La Mettrie
Ursula Pia Jauch über La Mettrie

(30) Ursula Pia Jauch conclude le sue 600 pagine del suo libro su La Mettrie con un capitolo intitolato così. (Jauch, la nota 28, pagg. 564-568)


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