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non nel tempo -- ma: in tempo
 
De Cive. Rivista di Pensiero Politico. Anno 1, N° 1, Gennaio-Giugno 1996, pag. 43-54 (43-46)
 

Bernd A. Laska

Katechon contro Eigner ?

La reazione di Carl Schmitt nei confronti di Max Stirner
- Parte 1 -


Il libro di Max Stirner »L'Unico e la sua proprietà« è un prodotto della filosofia dei giovani hegeliani del "Vormärz" tedesco. L'opera uscì alla fine del 1844 e consiste in gran parte nella polemica contro i due critici di Hegel dell'epoca, Ludwig Feuerbach e Bruno Bauer. Essa contiene però chiaramente anche una sostanza filosofica, tale da superare i tempi. Perché è vero che l' »Unico« sparì in fretta a quel tempo, insieme al giovane hegelismo, dalla pubblica discussione; ma successivamente, negli anni '90, in quanto libro unico di quell'epoca, ebbe una Renaissance (1) con il risultato che Stirner, sebbene vir unius libri, da circa un secolo è conosciuto bene, almeno per nome. Certo, egli non passa per essere un pensatore significativo, ma viene tutt'al più etichettato come un "anarco-individualista". (2)

Questo collocamento di Stirner al margine o anche al di fuori della storia seria delle idee è stato finora poco, e ancor più sul piano della effettività, oggetto di questione. (3) Ma vi sono grossi dubbi al riguardo se si rivolge uno sguardo imparziale, ma preciso, sulle reazioni che l' »Unico« di Stirner ha scatenato in una serie di pensatori, e in realtà anche e in particolare in quelli che sono poi cresciuti fino a risultare tra i più influenti ed efficaci sulle masse del tempo. (4) Karl Marx e Friedrich Nietzsche sono sicuramente tra i più importanti nomi all'interno di questa schiera. Essi tuttavia, sebbene Stirner abbia giocato un ruolo decisivo nella loro biografia intellettuale, non hanno stranamente pubblicato alcuna parola al riguardo. Per quanto riguarda Marx, successivamente, nelle opere postume, si è trovato un voluminoso anti-Stirner (che egli in un primo tempo, nel 1846, saggiamente non aveva lasciato stampare); e per Nietzsche solo con cura si sono trovate tracce cancellate del suo incontro con l' »Unico«. Entrambi i pensatori avevano chiaramente avuto grande cura nel bandire la "forza tentatrice" dei pensieri stirneriani - per dirla con Edmund Husserl, (5) che ben altrettanto appartiene a questa schiera.

Marx, Nietzsche e Husserl nonché alcuni altri prominenti pensatori hanno distintamente sentito la sfida che sta nell' »Unico« di Stirner; ma non si sono posti di fronte ad essa, per ragioni che si sono apertamente voluti tenere per sé o che hanno perfino rimosso dalla loro coscienza; essi non hanno domato questa sfida all'interno di un discorso argomentativo, ma l'hanno evitata, in un modo o nell'altro. Le impressionanti lezioni, dottrine, filosofie, che essi hanno creato in seguito, hanno dato risultati eccellenti al meglio sotto il profilo del far del tutto dimenticare questa circostanza: esse sono state accolte volentieri, anzi con entusiasmo, da una vasta opinione pubblica e hanno caratterizzato il pensiero dell'epoca.

Un membro di questo gruppo, molto eterogeneo, di influenti pensatori - tra cui è da annoverare anche il Rudolph Steiner conosciuto per lo più solo come fondatore della cosiddetta antroposofia - è il Carl Schmitt (1888-1985) descritto spesso come uno dei più importanti "pensatori dello Stato" del secolo, la cui reazione al libro di Stirner viene qui analizzata più da vicino.

Il primo incontro di Carl Schmitt con l' »Unico« si ebbe nell' "anno di Stirner" 1906, (6) quando egli era studente ginnasiale nella piccola città del Sauerland, Attendorn. Esso fu molto intenso e pieno di conseguenze, tra l'altro probabilmente in ragione del fatto che Schmitt dopo il diploma non andò subito in una università renana o del-

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l'alta Germania, ma, come egli più tardi ebbe modo di chiarire, fu preso da un "maelstrom", che, dal contesto cattolico del suo luogo d'origine, lo portò nella Berlino da lui profondamente lontana e di stampo prussiano-protestante - perché solo li appariva sussistere un qualcosa come una subcultura stirneriana.

Il rapporto molto stretto (di tanto in tanto) di Schmitt con Stirner o meglio con il suo »Unico« rimase a lungo nascosto e ben sarebbe rimasto occultato per sempre se Schmitt stesso non l'avesse portato in luce, anzi se non l'avesse addirittura confessato - anche di fronte a sé stesso - quattro decenni dopo, quando si trovò in una singolare situazione d'eccezione. Le prove più importanti da utilizzare al riguardo sono - il che è sempre da tener presente nella ricostruzione biografica che segue - tratte quindi dagli scritti di Schmitt di questo periodo, gli anni 1947/48. (7)

La prima traccia diretta dei primi anni di Schmitt, che, senza dare assolutamente nell'occhio, tradisce almeno la sua conoscenza di allora di Stirner, si trova nella dissertazione scritta nel 1910 sul problema penale della colpa. Lì egli, a mo' di introduzione, fa una digressione sui fondamenti: "Lo Stato si contrappone al delinquente come autorità che chiede rispetto..., Stato e delinquente non stabiliscono di comune accordo oggettivamente chi dei due sia il più forte... [essi] non si contrappongono l'un l'altro come due stirneriani consapevoli, ma lo Stato è qui più coerentemente hegeliano. E pertanto del tutto indifferente se sia rinvenibile o meno una giustificazione filosofica per una tale entrata in scena dello Stato; per i giuristi, almeno per i dogmatici (è con ciò) persa come un assioma l'occasione". (8) Questa posizione non ha bisogno di interpretazioni. Alla luce delle sue successive "annotazioni" essa apparirà tuttavia come testimonianza del fatto che Schmitt allora, alla fine del suo studio e all'inizio della sua carriera accademica di giurista, diventata nel frattempo oggetto di desiderio, era apertamente deciso a liberarsi definitivamente di Stirner, dell' "immoralista" ovunque proibito, che in un primo tempo era stato per lui, per alcuni anni, un importante sostegno "morale". (9)

Con quali mezzi Schmitt abbia allora attuato - come si mostrerà - questa liberazione molto problematica lo si desume dall'avvenimento cui Schmitt successivamente, nel suo »Canto del sessantenne«. concepito nella suddetta situazione di crisi, penserà con le seguenti parole:

"Per tre volte sono stato nel ventre del pesce.
Ho visto negli occhi il suicidio per mano del boia.
Eppure protettiva mi ha circondato, la parola dei poeti sibillini." (10)

La prima volta che Schmitt si vide, dal punto di vista spirituale, in una situazione senza via d'uscita, prigioniero "nel ventre del pesce", accadde in quell'anno 1910; e la "parola protettiva" che egli allora percepì come salvezza proveniva senza dubbio da Theodor Däubler (1876-1934). Questo poeta, che Schmitt a ragione definisce come sibillino, aveva pubblicato nel 1910 il suo »Nordlicht« [Aurora boreale], una ingombrante, misticistica, mitologizzante "grande poesia della liberazione progressiva dell'io", in tre volumi. (11) L'opera è (e in effetti era già per il pubblico contemporaneo) solo difficilmente accessibile e godibile. Eppure per Schmitt venne chiaramente un momento della vita in cui egli la percepì come "rivelazione, dono, grazia". (12) Conoscendo la contrapposizione ancora da descrivere troppo effervescente ed estremamente violenta di Schmitt con Stirner del 1947/48 - la terza volta nel "ventre del pesce" - si può difficilmente dubitare sul fatto che Däubler fosse quello che ha permesso a Schmitt di liberarsi alla fine di Stirner: Schmitt poteva ora staccarsi dal "giovane artigiano tedesco", che gli appariva in verità come un "diavolo d'uomo" nel vero senso della parola, (13) e così liberato potrà abbandonarsi

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al carisma di un uomo che egli adorava come il "grande mistico, in cui sembra di nuovo essere comparsa la grande epoca del misticismo tedesco."

Un piccolo scritto che Schmitt elaborò nel 1912 mostra apertamente la sua infatuazione, talvolta tale da apparire quasi da giovane in pubertà, per Däubler. (14) Più interessanti tuttavia, rispetto ai relativi passaggi agiografici, sono da questo punto di vista le espressioni di Schmitt che lasciano concludere, sulla base della sua esaltata conversione: "Qual è il pensiero dell'Aurora-boreale? La vittoria dello spirito, il superamento di tutte le relatività, il raggiungimento della trascendenza: l'Aurora boreale stessa appare, per esprimersi nella terminologia di Hegel, come la negazione di tutte le negazioni più fruttuose" - " ...fino a che la perfetta scepsi e la negazione fondamentale è superata e l'Aurora boreale compare." - "Il più elevato autoapprezzamento diviene la più profonda autonegazione, l'autonegazione diventa autoapprezzamento, la vita viene abbandonata per conquistarla." Il legame con la rimozione di Stirner è evidente. Al suo posto è comparso ora, come gia è desumibile dalla citazione della dissertazione del 1910, il più alto giudizio di valore di Schmitt circa uno Stirner agli antipodi di Hegel - ma vicino a Däubler: "La performance intellettuale dell'Aurora boreale è da paragonare del tutto a quella di... Hegel." (15)

Schmitt intestò perfino la propria tesi di abilitazione giuridica (»Il valore dello Stato e il significato del singolo«, 1914) con un oscuro motto di Däubler: "Anzitutto è il comando, gli uomini vengono dopo." Questo scritto può, certo solo conoscendo la preistoria del suo autore, essere visto come uno scritto di Schmitt in senso anti-stirneriano, come un'iniziativa quindi che, non essendoci in verità alcuno stirneriano da prendere sul serio, serviva essenzialmente - come per esempio il non pubblicato »San Max« di Marx - all' "autocomprensione" (così chiamata eufemisticamente).

Schmitt si pone però, in questo scritto del tutto polemico, come avversario non di Stirner, che egli non cita mai ,ma del moderno individualismo. Egli si oppone ad esso con la tesi dispendiosamente costruita grazie alla quale il singolo conquisterebbe il proprio "valore" solo per il fatto di essere membro di una comunità di valori, solo per il fatto di adattarsi ad una "norma" che non può essere desunta dalle "circostanze" etc. Schmitt annunziò questa tesi con il pathos del lottatore solitario contro il proprio tempo e sfondò porte aperte; perché questa concezione senza dubbio costituiva (e costituisce), per quanto in un modo o nell'altro complicata, la base antropologica di tutti gli orientamenti, e da ultimo anche di quelli di tipo individualistico, portatori di visioni del mondo - solo Stirner ne rappresentava un altro.

Lo studente Schmitt deve aver un tempo concepito questa singolare posizione, che lo rendeva un "Paria dello spirito", almeno in modo non ignaro e deve averla persino fatta propria per un certo periodo di tempo. Egli non l'ha trattata però - come dimostrano il suo silenzio e come di seguito sarà ancora più chiaro - né dal punto di vista intellettuale né sul piano psicologico, ma l'ha invece rimossa dalla propria coscienza con l'aiuto del "poeta sibillino" Däubler. Da ciò si spiega la sua confusione sul concetto e sull'effettività dell'individualismo nello scritto appena citato. (16) Schmitt ha anche tentato a quel tempo di essere vicino personalmente all'adorato poeta ed è datata a partire dal 1912 una stretta e duratura amicizia tra i due. Egli gli rese nota la propria grande riconoscenza per averlo salvato un'altra volta "dal ventre del pesce", pubblicando nel 1916 un proprio studio sulla »Aurora boreale« di Däubler, onde richiamare l'attenzione sull'amico altrimenti poco considerato. (17) Lo scritto mostra esemplarmente come in Schmitt coesistano oscuro misticismo e lucida critica del tempo, ma questo non è qui di ulteriore interesse.

Un evento di quel tempo deve intanto ancora essere posto in luce, in quanto appropriato a chiarire ulteriormente la biografia intellettuale di Schmitt. In stretto rapporto con i due amici stava allora, intorno al 1915, un epigramma non immediatamente percepibile: "Il nemico è la figura del nostro proprio problema / ed egli ci inseguirà, e noi lo inseguiremo fino alla medesima fine." Däubler lo superò in una poesia, che pubblicò nel 1916. (18) Schmitt peraltro non fece uso di questo epigramma né allora né dopo, quando "il nemico" era diventato il centro della sua teoria politica. Ciò sarebbe stato a questo punto non particolarmente da rimarcare se Schmitt tre decenni dopo, nella già più volte richiamata fase di crisi del1947/48 non avesse subitaneamente assegnato a questo epigramma un significato del tutto rilevante ai fini della comprensione della sua opera. Egli voleva dire ora che in realtà solo chi era in condizione di comprenderne effettivamente il senso più profondo poteva assolutamente interloquire sul suo, di Schmitt, tema centrale, la differenza tra amico e nemico quale essenza del "politico" e questo come criterio del vero essere umano e non so-

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lo dell'esistenza in termini biologici. (19) Ed egli ha perfino dato ad intendere di essere l'autore o almeno il coautore di questo epigramma. (20) Allo scopo di rendere accessibile questo epigramma da Schmitt così tardivamente, così sorprendentemente e dunque così enfaticamente citato, e per porlo in una relazione plausibile con altri avvenimenti dell'epoca in cui fu concepito, è ancora una volta necessario usare in via anticipata sul piano cronologico una informazione di Schmitt relativa all'anno di crisi 1947/48. Perché nell'aprile 1947, nella cella singola del carcere per i criminali di guerra di Norimberga, nella coscienza di Carl Schmitt era anzitutto collocato Max Stirner, altrettanto a lungo rimosso, e dunque, in diretta associazione a ciò da parte di questo epigramma, più precisamente la sua prima riga: "Il nemico è il nostro problema proprio in quanto forma." "Questa è la saggezza della cella", così riassunse Schmitt allora la breve dichiarazione di confessione spesso recepita come problematica, che egli, nella misura in cui ciò era possibile, pubblicò in forma autentica in base a quanto appariva nel1950 in un piccolo volume, cui diede il titolo pieno di connessioni »Ex captivitate salus« - Ex C.S. (C.S. era monogramma, per gli amici anche firma e abbreviazione di Schmitt).

Sembra evidente che in Schmitt "Stirner" e la "propria questione in quanto forma", che contemporaneamente viene identificata come "il nemico", sono associativamente legati in modo stretto. I due "complessi di idee" riemergono nella coscienza di Schmitt dopo una lunga scomparsa e, in stretto collegamento, in una situazione estrema. E inoltre del tutto provato che Schmitt ha quasi contemporaneamente rimosso entrambe le cose dalla propria coscienza, cioè in collegamento con la sua pretenziosa discussione del problema del moderno individualismo, (21) nella quale egli indubbiamente da un lato batté la sella (individualismo) per non battere l'asino (Stirner), dall'altro però può aver avuto "in qualche modo" consapevolezza del fatto che Stirner - come egli stesso - era un avversario deciso dell'individualismo liberalistico. Questa ambivalenza di Schmitt sarebbe facilmente rappresentabile attraverso un'analisi testuale.

Schmitt scrisse presumibilmente quel libro, che qui è stato descritto come anti-stirneriano in forma mascherata e mancata, "per mostrare che è del tutto vano discuterne." (22) Egli si attenne a ciò quando non tematizzò più la "propria questione", che era strettamente connessa con Stirner o con la "forma" del "proprietario" di Stirner. Egli evitò questo, il suo "nemico" effettivo, per quanto poteva; al contrario, fece del "nemico", della differenza tra amico e nemico come essenza del politico, il proprio tema di vita. I nemici, che egli d'ora in poi costruiva, erano nemici "degli altri", forse i "nostri" nemici, ma non le figure dei problemi propri, bensì di quegli altri, nemici sostitutivi, bersagli a forma d'uomo. - Schmitt iniziò a scrivere e venne fuori un'opera che certo ha sempre nuovamente affascinato molte persone, ma che anche dagli stessi seguaci più fedeli di Schmitt è stata vista come un labirinto etc. Qui interessa principalmente il suo inizio; non si ha intenzione di attraversare il labirinto.

Non ha qui altrettanto senso occuparsi degli sviluppi, delle svolte e delle particolarità della dottrina schmittiana del nemico. La sua quintessenza è esprimibile, sulla scorta della frase di Stirner più volte citata da Schmitt nell'anno di crisi 1947/48: "Nulla m'importa oltre me stesso", con la pregnante frase: "Qualcosa m'importa oltre me stesso». Di cosa si tratta? Dei valori della società dei valori, cui, per il fatto di appartenervi, sono assolutamente debitore di un mio "'proprio" valore. Il criterio decisivo, se e seria l'appartenenza, è la mia disponibilità a morire o ad uccidere nel caso in cui un nemico minacci o aggredisca la "mia" comunità. Perciò, per Schmitt la possibilità della differenza tra amico e nemico, il "politico", è la più importante premessa tout-court  dell'essere umano e la sua fine sarebbe un vero e proprio mondo pacificato in via definitiva.


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NOTE

(1) Per le circostanze rilevanti e degne di notazione circa l'inizio di quella Renaissance di Stirner (e di una seconda a partire da circa il 1966) cfr. Bernd A. LASKA, Ein heimlicher Hit. 150 Jahre Stirners "Einziger". Eine kurze Editionsgeschichte, Nürnberg, LSR-Verlag, 1994 (»Stirner-Studien«, Heft 1); così come dello stesso A.: Ein dauerhafter Dissident. 150 Jahre Stirners "Einziger". Eine kurze Rezeptionsgeschichte, Nürnberg, LSR-Verlag, 1996 (»Stirner-Studien«, Heft 2).

(2) Per la problematica relativa a quest'opera di etichettamento cfr. Bernd A. LASKA, Art. »Anarchismus, individualistischer« e »Stirner, Max« in Hans Jürgen DEGEN (Hg.), Lexikon der Anarchie. Bösdorf, Verlag Schwarzer Nachtschatten, 1993 ss.

(3) Il tentativo finora più ampio al riguardo consisteva nel fatto di porre Stirner "in qualche modo" in un rango collaterale rispetto a Marx. Cfr. Wolfgang ESSBACH, Die Bedeutung Max Stirners für die Genese des historischen Materialismus, Diss. Göttingen 1978. Come libro comparso con il titolo »Gegenzüge. Der Materialismus des Selbst und seine Ausgrenzung aus dem Marxismus«, Frankfurt/M, Materialis-Verlag, 1982.

(4) Per una considerazione più approfondita cfr. Bernd A. LASKA, Ein dauerhafter Dissident, cit. (dettagliate ricerche sulle reazioni di Marx, Nietzsche e altri nei confronti di Stirner sono programmate per futuri quaderni degli »Stirner-Studien«).

(5) Husserl valutò, chiaramente sulla base della propria esperienza vissuta, questa "forza tentativa" come talmente potente da non menzionare apertamente mai Stirner e in effetti per non porre affatto in pericolo eventuali "principianti" curiosi. Cfr. il suo manoscritto F I 28, p.118 nello Husserl-Archief te Leuven, Belgio

(6) Max Stirner, propriamente Johann Caspar Schmidt, visse nel 1806-1856

(7) Si tratta in particolare dei seguenti testi:
1) Carl SCHMITT, 1907 Berlin, scritto nell'inverno 1946-47, pronto per la stampa nel febbraio 1965, edito postumo in Piet TOMMISSEN (Hg.): Schmittiana I, Bruxelles 1988 (Eclectica Nr. 71-72, 17de jaargang), p.11-21 (d'ora in poi: 1907 Berlin);
2) Carl SCHMITT, Weisheit der Zelle; scritto nell'aprile 1947, pubblicato in Carl SCHMITT, Ex captivitate Salus, Köln, Greven-Verlag, 1950, p. 79-91 (d'ora in poi: ExCS) [trad. it. Ex captivitate Salus, traduzione di C. Mainoldi, Milano, Adelphi, 1987];
3) Carl SCHMITT, Glossarium, Aufzeichnungen der Jahre 1947-51, Hg. v. Eberhard Frh. von Medem, Berlin, Duncker & Humblot, 1991, 364 p. (d'ora in poi: Glossarium).

(8) Carl SCHMITT, Über Schuld und Schuldarten, Breslau, Schletter'sche Buchhandlung, 1910, p. 5 (Rilievi B.A.L.)

(9) Per una ricostruzione dettagliata del rapporto del giovane Schmitt con Stirner v. Bernd A. LASKA, "Katechon " und "Anarch ". Carl Schmitts und Ernst Jüngers Reaktionen auf Max Stirner, in: AA.VV., Max Stirner e l'individualismo moderno, Cuen, Napoli 1996

(10) ExCS, p. 93 (ed. it. cit. p. 99); dello stesso A.: Glossarium, p. 177.

(11) Kindlers Neues Literatur-Lexikon, vol. IV, München, Kindler, 1989; voce Däubler, Theodor, p. 377-380.

(12) Carl SCHMITT, Theodor Däublers "Nordlicht", München, Georg Müller, 1916, cit. dalla 2' ed., Berlin, Duncker & Humblot, 1991, p. 55 [trad. it. Aurora Boreale - Tre studi sugli elementi, lo spirito e l'attualità dell'opera di Theodor Däubler, Napoli 1995, a cura di Stefan Nienhaus, p. 84]

(13) In quanto solido "apprendista artigiano tedesco" Stirner era stato allora per lo studente Schmitt un "vero ristoro", sulla base delle presunzioni del "culto dell'io", che egli vedeva dappertutto nel suo ambiente universitario - cfr. 1907 Berlin, p. 71; "diavolo d'un uomo, inconfutabile ... demoniaco ..." lo chiamava nel Glossarium, p. 25.

(14) Carl SCHMITT, Theodor Däubler - der Dichter des "Nordlichts" (1912), per la prima volta pubblicato in Piet TOMMISSEN (Hg): Schmittiana, I, cit., p. 22-39; la precedente citazione veniva da questo scritto, p. 38.

(15) Ibidem, p. 32, 29, 28, 32.

(16) Illuminante al riguardo la lettera di Schmitt a Julius Bab del 13.9.1914. Stampata in Helmut QUARITSCH (Hg.), Complexio Oppositorum. Über Carl Schmitt, Berlin, Duncker & Humblot, 1988, p. 93 s.

(17) Carl SCHMITT, Theodor Däublers "Nordlicht", p. 55 (trad. it. cit. pp. 84-85); cfr. dello stesso A., Theodor Däubler, der Dichter des "Nordlichts", (1912), cit.

(18) Theodor DÄUBLER, Hymne an Italien, München/Leipzig 1916, p. 58.

(19) Glossarium, 213 (25.12.48)

(20) Cfr. Heinrich MEIER, Die Lehre Carl Schmitts, Stuttgart, J.B. Metzler, 1994, p. 80, nt. 56.

(21) Carl SCHMITT, Der Wert des Staates und die Bedeutung des Einzelnen, Tübingen, J.C.B. Mohr, 1914.

(22) Lettera del 13.9.1914 a Julius Bab, cit.


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Traduzione dal tedesco di Clemente Forte

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